roberto ilacqua
  Viola
 
Questa è la tesi che preferisco. Non è tanto per il contenuto che può piacere o meno e con il quale si può essere d'accordo o no, ma per il fatto che è stata scritta "di getto" quasi in una sola notte e che rispecchia completamente l'inquietudine del momento che vivevo.
Nonostante tutto l'unico appunto che è stato fatto  a questa tesi (mi scuseranno se mi ostino a chiamarla così) è che "manca di una bibliografia".


VIOLA VS VIOLINO

 

Uno storico dualismo

 

 

 

Uno scritto di Roberto Ilacqua 

“La viola è un violino con una preparazione universitaria”

Questa potrebbe essere la traduzione di una frase di William Primrose
(1903-1982) in cui si concentrano le varie peculiarità dei due strumenti; Uno pieno di sé, solistico, con voce squillante e sempre (o lo vorrebbe essere) in primo piano; L’altro intimistico, con voce calda e morbida, mai “strillata” o soverchiante e sempre “asservito” all’insieme con gli altri strumenti. Nella famiglia degli archi vi sono delle qualità intrinseche che portano alcuni strumenti a prevalere sugli altri; Il violino, come si è detto, parte da una tessitura media per arrivare al sovracuto; il violoncello suona in chiave di basso e, ad esempio nel quartetto d’archi, ha funzione di basso continuo con proposizioni di canto lirico cioè il secondo strumento con funzionalità di cantabile (“lo strumento che più si avvicina alla voce umana” viene fin troppo spesso definito); nelle orchestre il contrabbasso ha la quasi sola funzione di pedale basso (ma non se n’abbiano a male i  miei colleghi contrabbassisti per questa mia affermazione molto avventata e superficiale citandomi i concerti di S. Dragonetti, D. Kussevitzky o la sonata di Hindemith) e i secondi violini contrappuntano o rispondono ai primi. Lo scalino sonoro che divide il violino dal violoncello è riempito dalla viola; e così è sempre stata considerata: un riempitivo sonoro, tanto è vero che la prima cattedra d’insegnamento della viola viene istituita solo nel  1904 al conservatorio di Parigi, in precedenza era considerato uno strumento suonato da ex violinisti o che non erano “abbastanza bravi” nel loro nobile strumento. Ma se Bach e Mozart (per citare solo due esempi anche se illuminanti) preferivano suonare la viola nei loro concerti piuttosto del violino, una ragione ci doveva pur essere e sicuramente non era solo per la mancanza di strumentisti validi nell’uso del “grosso violino”. Il fatto, ad esempio, di essere nel centro dell’orchestra pone il violista ad essere avvantaggiato
nell’ascolto dei vari movimenti armonici e melodici delle altre parti
orchestrali; La qualità del suono intrinseco dello strumento che non è mai fastidioso ma anzi con i suoi tempi dilatati rispetto alle parti del violino, ad esempio, lascia il tempo di riflettere su come affrontare un passo tecnico (per quanti pochini ve ne siano in verità nella musica almeno fino alla seconda metà dell’ottocento), quale sonorità usare al momento dell’emissione e, in fin dei conti, può portare l’esecutore sulla viola ad un’esecuzione più rilassata.

 PECULIARITA’ E DIFFERENZE TECNICHE

 

L’ARCO

 

Vi sono alcune peculiarità nella prassi esecutiva dei due strumenti con le quali ho dovuto confrontarmi in quest’ultimo periodo in cui convivono in me nel mio personalissimo dualismo di volermi chiamare “violinista-violista”: Il violino, lo strumento con il quale mi sono accostato al mondo musicale, viene suonato con una tecnica di polso, braccio e spalla destri abbastanza uniforme; peso e velocità vanno ripartiti all’interno della cavata d’arco in modo che quest’ultimo tocchi la corda alla metà dello spazio delimitato da ponticello e tastiera laddove cioè, l’onda sonora viene sollecitata maggiormente (a meno di richieste particolari in alcuni brani musicali) e, preferibilmente con la parte anteriore del crine (ruotando cioè un poco il polso verso il riccio abbassando così la quantità di crini a contatto con la corda); nella viola è diverso. L’arco deve stare più vicino al ponticello (diciamo che in “termini matematici” lo spazio viene delimitato al 75% verso la tastiera e al 25% verso il ponte) con il polso destro piegato verso il basso in modo che si porti dietro tutto il naturale peso del braccio e i crini fascino in maniera uniforme le corde; il peso e la velocità nella viola non hanno lo stesso impatto che nel fratellino piccolo: infatti, come dice William Primrose,  -le parole “pressione” e “Viola” sono incompatibili- infatti, si sarà osservato sicuramente che nelle edizioni di musica francesi, specialmente negli studi, nella tavola denominata “explication des signes
il segno “giù” si riferisce a tirez e il segno “su” si riferisce a poussez. La
differenza è proprio tutta qui: quando si suona la viola l’essenziale è proprio tirare e spingere l’arco perché l’eccessiva pressione non può che condurre ad un meritato e disastroso suono.
La causa di tutte queste differenze nella condotta dell’arco è tristemente
nota, inesauribile fonte di barzellette sui violisti e ad un primo accostarsi al
problema può anche sembrare uno svantaggio, cioè il ritardo fisico che uno strumento relativamente piccolo ha nell’emettere un suono grave. In tanti hanno cercato di ovviare a questa situazione allargando ed allungando le misure della viola fino ad arrivare al capolavoro della viola medicea di stradivari che misura quarantotto centimetri alla cassa.
 

Il problema è essere fisicamente abbastanza grandi da potersi permettere uno strumento che altrimenti inevitabilmente porta a scompensi fisici anche gravi quali affaticamenti muscolari, tendiniti e persino distorsioni. Effettivamente una viola grande, con misura 44 cm ad esempio, ha un suono più colmo di armonici di una 39.5 / 40 ma io sono dell’idea che lo strumento debba essere della misura di chi lo suona, altrimenti non avremmo violiste donne per l’evidente differenza di forza fisica oltre che di dimensioni e tanti nomi di bravissime soliste donne fortunatamente mi danno ragione su questo punto. Il modo di suonare fa la differenza.
L’arcata non comincia direttamente quasi mai, l’arco descrive una curva al cui apice verso il basso, semplicemente, si trova la corda e morbidamente la mette con calma in risonanza. E qui ciò che al primo impatto sembrava uno svantaggio, si trasforma nell’essenza stessa dello strumento. La Morbidezza sonora che sempre va ricercata nei limiti dell’esecuzione e delle richieste dell’autore in tutti pezzi che si eseguono cominciando addirittura dagli studi tecnici.

LA MANO SINISTRA

 
Le differenze da questa parte del corpo di un esecutore sono molto più tecniche: la mano deve adattarsi ad un manico e una tastiera nella
migliore delle ipotesi più larghi e più grossi; le dita devono scendere con
intervalli più larghi quindi non più necessariamente ad uncino ma un po’ più aperte; il vibrato non è più così fitto ma più largo e calmo (sempre a seconda del brano eseguito). Il libero uso delle corde vuote che sul violino produce spesso un effetto fastidioso sono al contrario “la gloria della viola, come si dice lo siano i capelli sciolti per una donna”  (W. Primrose). Un discorso a parte meritano le diteggiature che nel violino hanno priorità univoche specialmente nelle posizioni basse mentre nella viola il quarto dito può essere considerato semplicemente un allungo del terzo per ciò che riguarda le note con accidenti. Un fa# o solb in prima posizione e quarta corda per non allungare la mano ed il polso sinistro in maniera esagerata e pericolosa anche in base alla grandezza dello strumento, viene eseguito anche con il quarto dito, diteggiatura impossibile o quasi da trovarsi in un pezzo per violino così come l’uso del bariolage il passaggio continuo cioè da una corda all’altra in modo da ottenere una sonorità più aperta e varia, cosa che sarebbe rischiosa sul violino.

 DIVERSITA’ NELLA PRASSI ORCHESTRALE E UN PO DI STORIA

 
Nella mia esperienza ormai trentennale (sic!) ho avuto modo di suonare spesso e volentieri lo stesso pezzo a volte con il violino e a volte con la viola, per non parlare della differenza fra i violini primi e i secondi
naturalmente notando che le diversità sono tante e lampanti nonché molteplici nello specifico tecnico. I primi violini sono i solisti dell’orchestra, hanno cioè il compito di eseguire i temi facendosi accompagnare dagli altri archi (logicamente si sta parlando sempre in linea di massima) mentre secondi e viole sono parti che spesso sì “copiano” cioè si muovono con accompagnamenti a distanze varie di ottava o di quinta. Un esempio concreto lo si può fare con l’aria del tenore del terzo atto del Rigoletto di Verdi “la donna è mobile” in cui dopo le prime otto battute di introduzione in cui i violini eseguono il tema tronco che verrà poi cantato dal tenore, i secondi e le viole si associano ai corni in un accompagnamento in 3/8 in levare con il battere ai violoncelli e contrabbassi, continuando ad accompagnare anche il solo solista mentre ai primi è demandato il compito di contro canto al solista. In linea di massima il comportamento orchestrale delle viole è sempre stato quello di trait-d’union fra le varie voci, o come riempimento come si è gia detto se non altro nella musica operistica. Nella musica sinfonica vi sono esempi invece in cui la sonorità morbida e baritonale della viola sia stata scelta come preferita per l’esposizione del tema principale; Ad esempio nel secondo tempo della prima sinfonia di Beethoven in c dur op 21.
Comunque gli esempi di utilizzo del tono morbido della viola nella musica
sinfonica sono molteplici anche perché nel tempo si è capito che relegare a mero riempimento un quarto (o un quinto calcolando il contrabbasso) delle voci a disposizione degli archi era uno “spreco”  musicale grave, in più si
andava affermando l’importanza dello strumento nella letteratura per
quartetto d’archi in cui la sua presenza era quasi obbligata.
Non sono sicuro che sia stata questa la ragione (sarebbe un po’ come chiedere se è nato prima l’uovo o la gallina) dello sviluppo della tecnica
della viola; se cioè l’infittirsi e il maggior grado di difficoltà nelle partiture abbia portato all’insegnamento della viola come strumento principale, o se sia stato l’esatto contrario cioè l’affermarsi del principio di  “esistenza” di uno strumento come la viola a permettere di scrivere cose sempre più difficili, fatto sta che si ha notizia della prima cattedra di viola istituita in un conservatorio a Parigi e solo nel 1904 (!).
 




Lo sviluppo comunque si ha dalla metà del secolo prima. Forse più che sviluppo si dovrebbe parlare di riscoperta perché le cronache dell’epoca mettevano in gran risalto la viola fin dalla metà del XVII secolo.
A tal proposito Hellmuth Christian Wolff, nella prefazione all’edizione
del suo Telemann concerto in g major for  viola (Barenreiter 1968) ci ricorda che proprio nel diciassettesimo secolo la viola era tenuta molto più in considerazione di quanto non accadde negli anni successivi.

 

La viola da braccio fu introdotta nell’orchestra nel diciassettesimo secolo solo per completare l’organico. All’inizio veniva usata come uno strumento subordinato, a supporto dei secondi violini o dei bassi (che raddoppiava all’ottava superiore), ma già allora a Venezia le era affidata una propria parte, o la si trovava raddoppiata (con due parti obbligate) nell’orchestra d’opera. Nell’epoca barocca si preferiva u sare la viola per scopi speciali; così Antonio Draghi scrisse di usare due viola concertanti per il ritornello della sua opera Creso (Vienna 1678, III, 19), e anche un completo quintetto di viole per accompagnare un’aria della stessa opera, (14) Due viole concertanti godettero di particolare popolarità nelle arie di lamento dell’Opera veneziana, per esempio ne “Il Cardinale” (1679) di Pietro Andrea Ziani o ne “Onorio in Roma” (1692) di Carlo Francesco Pollaroli. Con lo sviluppo dell’orchestra verso la classica formazione a quartetto la parte per viola fu di nuovo ridotta a una, ma ad essa si dedicò una maggior attenzione. Questo è gia evidente nella sinfonia dell’opera Messalina (Venezia 1680) di Carlo Pallavicini e poi in maggior grado nei concerti degli inizi del settecento. Come strumento solista concertante la viola da braccio fece la sua prima comparsa sempre nell’opera, per esempio in una sonata dell’opera “Le promesse degli Dei” (Vienna 1697) di F.T. Richter, affiancata al violino concertante, al violino piccolo e alla viola bassa, oltre che a tre flauti e orchestra d’archi. Nell’opera “Almira” (Amburgo 1704) di G.F.Handel e successivamente nella “Diana” (Amburgo 1712) di Reinhard Keiser la viola è usata per accompagnare da sola un’aria. R.Keiser ne”Octavia” (Amburgo 1705) caratterizzò molti interventi di Nerone con l’accompagnamento di una viola concertante e nello stesso modo Christoph Graupner trattò le arie dell’innamorato Antioco nell’“Antiochus und Stratonica” (Amburgo 1708). Telemann è uno di quei compositori che importarono in Germania la forma del concerto italiano e in questo paese la svilupparono indipendentemente. Il suo concerto per viola venne probabilmente scritto, coma la gran parte dei suoi 170 concerti strumentali per i “grandi concerti settimanali nel Frauestein” che egli stesso dirigeva a Francoforte sul Meno. Il fatto che usasse Torelli e la sonata da chiesa come modello si riconosce dalla struttura a due movimenti. Telemann usò inoltre la viola come strumento solista concertante in un concerto ouverture, e anche in un concerto per due violette e orchestra d’archi. Queste composizioni non devono essere paragonate al sesto brandeburghese di Bach (per due viole soliste, Kothen (1721); lo stile di Telemann è completamente differente: al contrario della polifonia pesante e spesso opaca di Bach, Telemann prestò molta più attenzione al tono, alla chiarezza e al predominio indiscusso dello strumento solista.

 

In fin dei conti non è questo il luogo per insistere ulteriormente sulla storia e sulle alterne fortune e sfortune della viola: libri e ricerche cui riferirsi a tal proposito abbondano. Nondimeno resta che dopo il momento di gloria cui si riferisce Wolff la viola fu dimenticata sia dagli esecutori sia dai compositori. E il problema su quale di questi due gruppi abbia dimenticato per primo il nostro strumento pone un’altra volta la classica questione dell’uovo e della gallina anche se se ne possono facilmente rintracciare le ragioni. I compositori immagino, non si preoccuparono di scrivere per uno strumento così malamente servito da quelli che lo suonavano, e gli esecutori non volevano essere associati ad uno strumento dal suono lamentoso e povero di repertorio mentre, al contrario, i violini e i violinisti godevano di un dolce e imponente periodo di luce durante il quale i violisti venivano avvolti nelle ombre più buie fino all’arrivo di Tertis in Inghilterra e Maurice Vieux in Francia i quali hanno stabilito alcuni principi base per la viola grazie ai quali questi due paesi sono diventati una sorta di fons et origo* nell’arte di suonare questo strumento.
In particolare Tertis fu il primo ad insistere sull’unicità della viola e sulla sua essenza; egli definì la personalità distinta dello strumento, e sostenere che suonare con esso non era diverso dal suonare il violino una quinta sotto bastava a sollevare la sua ira e il suo sdegno; Fu lui ad aprire la strada all’insegnamento della viola con le due grandi distinzioni di cui parlavo nei capitoli precedenti: L’arco e la mano sinistra.
Tutto questo mi ha portato a pensare alla difficoltà del dualismo violino viola e alla sua complessità intrinseca ma non mi ha domato. Conosco bene (?) la tecnica d’arco e della mano sinistra sul violino e, anche se non posso trasponderle sulla viola le posso però adattare. E se ai primi tempi per passare da uno strumento all’altro mi ci volevano ore di adattamento, noto con piacere che a cambiamento avvenuto non ho più quelle grosse difficoltà al punto che potrei (con un pizzico di [consentitemela] palese boria) passare dal violino alla viola, o viceversa,  anche nel corso dello stesso concerto.**

 
* = Sorgente ed origine
** a tal proposito preciso che dopo un anno da che ho scritto questa frase ho vinto una audizione per prima viola e una per violino di fila le cui prove si sono svolte a distanza di dieci minuti l'una dall'altra e che dopo quasi due anni dalla stesura di questa tesi ho eseguito  un concerto in cui nella prima parte ho suonato la viola come solista nel concerto brandeburghese di Bach e nella seconda parte ho suonato come violino di fila e ad un'altro concerto con l'orchestra del Conservatorio di Parma svoltosi a Roma, nella prima parte ho suonato come prima viola e nella seconda come violino di fila...


 PER FINIRE

 

Una volta, da ragazzo, ho ascoltato un’intervista a Franco Gulli in cui gli veniva fatta la fatidica domanda di sempre: -quale autore le piace di più?- in quell’istante mi si è aperta una voragine davanti. E se la stessa domanda fosse stata rivolta a me come avrei risposto? Mozart? Elegante, morbido, fresco o Beethoven eroico, Wagner? Grandioso? Paganini? Tecnico e cantabile? Bach? Melodie infinite? E mi sono reso conto che ognuno di questi autori aveva una sua peculiarità, un suo modo di intendere la musica, dovuto sicuramente anche al periodo storico in cui sono vissuti, ma principalmente ad una visione personale del discorso musicale dalla partenza fino alla fine d’ogni brano scritto e da cui ogniinterprete poteva trarre molte variabili e infinite varianti nel modo d’esecuzione fin’anco a stravolgere le basi stesse su cui si poggia l’intero pezzo e la prassi esecutiva “codificata”; mi spiego: negare un vibrato caldo ed avvolgente ad un brano di Bach adducendo prove tecnico-storiche che al suo tempo non si vibrava così non è inaridirlo magari solo un pochino? Tornare alla prassi esecutiva di allora rinunciando alle tecniche acquisite nel tempo solo perché le tastiere dei violini erano corte e il vibrato non era codificato e utilizzato non è un po’ come ostinarsi a voler andare a cavallo ai tempi moderni rinunciando ai benefici della tecnica moderna? Allora ho avuto la sensazione che l’unica risposta corretta per un musicista fosse “l’ultimo che ho suonato”. E con mio stupore furono le stesse parole che utilizzò il famoso musicista per rispondere alla domanda.
Così ora, quando mi chiedono qual è lo strumento che preferisco suonare
se violino o viola, non mi soffermo più sulle diversità che hanno i due strumenti, volume, quantità e qualità del suono, tecniche diverse, difficoltà nel passaggio dall’uno all’altro, stato d’animo al momento della scelta, differenze di repertorio o altre ragioni; semplicemente rispondo:

-l’ultimo che ho suonato-.

  

POSTFAZIONE

 

Mi preme dare l’importanza che merita a questo scritto.
Non vuole essere una trattazione sulle problematiche tecniche dell’uno o dell’altro strumento, ne essere una pietra miliare nella divulgazione del violino o della viola o un’approfondita trattazione storica. Neppure una di queste cose sono state trattate al meglio delle possibilità dello scrivente
che, fra l’altro, non ha sicuramente pretese prettamente linguistiche e che capisce che non è questa la sede appropriata per un lavoro di quel genere. E neppure vorrebbe solamente rendere dignità ad uno strumento che spesso e volentieri viene deriso dai suoi stessi esecutori nelle varie orchestre con le quali collaboro da anni.
Sono solamente personalissime idee,quindi assolutamente fallibili e
opinabili, che hanno però il loro riscontro nella vita pratica di un polistrumentista che cerca di mettere la propria professionalità al servizio
ora dell’uno, ora dell’altro strumento, cercando di farlo al meglio delle proprie possibilità; Pensieri in libertà che ho accumulato nella mia mente negli ultimi anni da quando cioè decisi di “dividermi” sugli strumenti in questione cercando di riversare su ognuno di loro la stessa voglia, la stessa frenesia di suonare che provo ogni volta che ne prendo uno in mano
piccolo o grande che sia. La stessa voglia di comunicare che deve avere chiunque faccia questo “mestiere” sia che lavori in una orchestra, sia che faccia il solista e ancor di più in qualità di insegnante quando deve
comunicare ai propri allievi che quella del musicista non è una via facile ed in discesa da intraprendere nella vita, ma al contrario ci si dovrà sempre scontrare con problemi nuovi, tecnici e fisici, e con persone che ti
giudicano in ogni momento della vita professionale sfociando spesso e volentieri nel personale per portare avanti la propria idea senza un contraddittorio e senza mai mettersi in discussione.

 Un mio caro amico ed insegnante mi diceva sempre che “Chi va ai concerti per giudicare è un cretino, come pure chi si aspetta sempre dal vivo una performance da disco. Ci si deve andare per ascoltare ed aspettarsi musica” (F.Gulli).

Ed è questa la filosofia con cui cerco sempre di affrontare un pezzo nuovo; che sia in formazione cameristica, orchestrale o come solista la cosa importante a mio avviso è cercare di rendere le sensazioni che il pezzo ti ha dato in fase di studio e che ti comunica nell’istante dell’esecuzione.

 Al meglio delle proprie possibilità.

 Roberto Ilacqua

 
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